giovedì 9 febbraio 2017

Di librerie e patatine fritte fredde

Io sono una libraia. Una libraia disoccupata, al momento. Ho fatto la libraia per anni, ho iniziato a 21 anni, ho continuato per due anni e mezzo, ho fatto la libraia ovunque, dalla libreria di casa mia, a una libreria indipendente di più di 150mq, in una libreria di catena in un ipermercato, in una piccola libreria indipendente di 70mq, ho un'esperienza in totale (basata sulle mie buste paga e su un calcolo degli anni, troppi, in cui una busta paga non l'ho avuta) di 6 anni e mezzo, non tanti, non pochi , non troppi, non abbastanza.
Io sono una libraia: sono stata una stagista libraia, ho fatto migliaia di pacchetti regalo, sono stata sgridata quando la carta regalo non era perfettamente tirata e faceva le grinze, sgridata quando ci mettevo troppo tempo a spuntare una bolla, sgridata quando non spinavo correttamente i libri; ho aspirato pavimenti, lavato bagni, vetrine, scrivanie e banchi cassa. 
Sono stata una commessa libraia di quelle che non vi parlano quando entrate nelle librerie di catena, ma non perché gli state antipatici, semplicemente perché "dall'alto" gli spiegano che non è necessario, il cliente acquista comunque, da solo. Una volta ho avuto l'influenza, ed essendo in un ipermercato, il bagno era lontanissimo e io ero da sola in negozio, e ho vomitato nel sacco nero in magazzino; ho fatto una notte fino alle tre del mattino chiusa nel suddetto ipermercato per permettere ai tecnici di riparare la saracinesca rotta; mi sono sentita dire almeno 395 volte:"Ha coperto il prezzo, vero?". Ho riassortito completamente il negozio, di mia iniziativa e sono stata elogiata perché le vendite si erano alzate, una cifra irrisoria, ma si erano alzate.
Sono stata una libraia manager, per pochissimo, vero, ho semplicemente accompagnato il malato agonizzante negli ultimi sei mesi di vita, ma sono stati i sei mesi in cui ho imparato di più in assoluto: ho compilato tantissimi fogli di Excel, ho imparato che senza i numeri, un libraio non conta nulla, ho sgridato stagisti per pacchetti con carta regalo con le grinze, ho sgridato colleghi quando ci mettevano troppo tempo a spuntare una bolla o a spinare una pila di libri, ho litigato con colleghi e poi pianto chiusa in ufficio, ho comunque aspirato pavimenti, lavato bagni, vetrine, scrivanie e banchi cassa. 
Dopo è stata dura, il periodo più buio: non avevo più una libreria dove stare, libri da sistemare o vetrine da lavare, pacchetti non grinzosi da fare. Quel dopo lì non lo dimentico, ma vorrei. Mi sono sentita priva di energie, senza motivazione, avevo fallito e non riuscivo a farmene una ragione. Non mi sentivo più una libraia, non mi sentivo più niente: anestetizzata.
Sono una libraia, non so fare altro, non ho voluto imparare a fare altro. Ho fatto del mio meglio, ho amato il mio lavoro, per lui ho litigato con i miei genitori, con gli amici, a volte anche con mio marito, per lui ho lasciato l'università, per lui ho pianto, provato invidia, umiliazione, felicità e soddisfazione. Lo difenderò finché ho coraggio di farlo, perché è difficile da spiegare, ma una libreria è come una farmacia, ma per l'anima. Ci sono persone che entrano e ti dicono che sono tristi, che sono felici, che non leggono da anni, che leggono tantissimo, persone disperate perché loro figlio ha smesso improvvisamente di leggere e sta sempre attaccato a quello smartphone, mamme che scelgono libri in base al numero di pagine, padri che pagano e basta, mariti che aspettano fuori dalla vetrina e scelgono libri da lì.
Io l'ho vissuta la differenza tra il lavorare per sé stessi e lavorare in una catena, dove sei un numero. Io so cosa si aspettano dei clienti da una libreria indipendente e da una libreria di catena, ma quello che non accetto, che proprio non sopporto, è il fatto che si possa sminuire il lavoro degli altri e che uno non possa difendersi. 
Succede questo: sotto un video di YouTube leggo ragazzine che dicono che in una libreria indipendente, la proprietaria, cito testuale, "ti prende per il culo, facendoti uno sconto del 15% dopo aver acquistato 100euro in libri, quando nelle altre librerie lo sconto te lo fanno a prescindere". Ora, sono ragazzine, avranno si e no 16 anni, ma quello che mi fa veramente sfiatare dalle narici, è che ci sono intere frotte di persone che la pensano così: nella mia carriera ho sentito centinaia di persone dirmi " ma uno sconticino?", persone che ti fanno la battuta "dai, so che tanto te lo puoi permettere". Bene, sappiate che non siete simpatici. La vostra battuta l'ho sentita migliaia di volte, non siete originali, non fate ridere. Io lo sconto non lo faccio, ancora di più se me lo chiedi. Lo sconto, una libreria indipendente, non se lo può permettere, e non farò il solito post con numeri noiosissimi snocciolati, che tanto non si capisce nulla lo stesso. Sapete perché non ce lo possiamo permettere? Perché, semplicemente, vi offriamo un servizio. 
Faccio un esempio pratico: domenica sono andata al centro commerciale di Arese, era l'una, avevo fame e sono andata a prendermi da mangiare in un fast food: tempo necessario per procurarmi il cibo 10 minuti; tempo necessario per trovare un posto dove mangiare 20 minuti. Ho mangiato le patatine fredde, e le patatine fredde, lo sappiamo tutti, fanno schifo. Ma, attenzione, non mi sono lamentata. Abbiamo mangiato in due con diciassette euro, che mi aspettavo? Era comodo? No. E' stato veloce? Direi di no. Era buono? così così. Era economico? Si, e quindi va bene.
Tre settimane fa sono andata a mangiare in un ristorante della mia città, prima mi sono seduta e poi ho mangiato, i piatti erano caldi, il cameriere mi versava il vino, ho passato una serata piacevole. Spesa in due: sessanta euro. La cosa vi sconvolgerà, lo so, ma leggete qui: non ho chiesto lo sconto, perché ho riconosciuto il lavoro e la professionalità di chi mi ha dato da mangiare quella sera. Ho apprezzato la ricerca delle materie prima, la passione di chi ci lavora. Era comodo? Si. E' stato curato il servizio? Si. era buono? Molto. Era economico? Per il mio punto di vista, si, perché tra la mia richiesta e l'offerta che c'è stata, trenta euro a testa non mi è sembrata una cifra esorbitante. 
Io sono una libraia, al momento disoccupata. Se andassi a comprare in una libreria non chiederei lo sconto, così come non lo chiedo al ristorante: se c'è il mese che posso permettermi il fast food vado al fast food, se c'è il mese che posso permettermi il ristorante vado al ristorante. Se c'è il mese che posso comprarmi un libro lo compro, altrimenti aspetto momenti migliori. Ma non chiedo lo sconto al libraio indipendente, perché so quel tizio quella mattina si è alzato dal letto, è andato nella sua libreria, si è pulito le vetrine, si è pulito il bagno (che non usa solo lui, ma anche i clienti), ha passato l'aspirapolvere, ha fatto i conti delle fatture di fine mese, ha organizzato una presentazione, pagato l'albergo per l'autore che viene a presentare il suo libro (e sottolineerei suo), fatto una ricerca per quel cliente che vuole un libro particolare, ha letto le uscite editoriali delle prossime settimane, ha fatto un bonifico per iscriversi a un corso di aggiornamento, ha scelto il libro del prossimo gruppo di lettura, sperando che piaccia e che non glielo stronchino, ha scelto con cura la carta per fare i pacchetti per il prossimo Natale, ha infilato a uno a uno fili di cotone nelle tag per fare pacchetti personalizzati (almeno mille tag con mille campanellini). 
Quindi, caro cliente, caro lettore che compri dieci libri in un anno, cara ragazzina che compri un libro ogni cambio di lustro, vuoi lo sconto? Però ti piace il pacchetto personalizzato? Però ti piace quando arrivi e trovi il libro particolare che non trovavi da nessun'altra parte? Però ti piace che se non lo trovi te lo facciamo arrivare in due giorni e senza chiederti l'acconto? Però ti piace venire alle presentazioni e mangiarti l'aperitivo della migliore pasticceria della città? E berti il prosecco o la Coca Cola in vetro anziché in bottiglia di plastica? E si, hai ragione, piacerebbe anche a me. Ma siccome sono libraia (e anche se disoccupata, lo sarò fino alla morte, anche se farò un altro lavoro, sarò sempre una libraia) io non me lo posso permettere, e vado al fast food a mangiarmi le patatine fritte fredde.

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